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“Una sola cosa allora volevo: tornare in Africa. Non l’avevo ancora lasciata, ma ogni volta che mi svegliavo, di notte, tendevo l’orecchio, pervaso di nostalgia.”
Hemingway descrive bene il mal d’Africa.
Io non ho il mal d’Africa. Perché non ho nostalgia dell’Africa. Non mi manca perché è parte di me.
L’ho capito subito. Appena i pensieri che mi annebbiavano il cervello si sono fermati ed ho respirato. Per la prima volta.
È difficile descrivere la sensazione a parole.
Chi soffre di mal d’Africa parla della terra rossa, dei tramonti, degli animali, dei bambini. Io non ho il mal d’Africa perché, la sensazione che ho provato e che provo tutt’ora a richiamare il ricordo, non passa attraverso quelle parole.
Le parole che mi vengono sono appartenenza, gioia, agio, appagamento, casa.
Quindi non soffro di mal d’Africa perché io non ho nostalgia. Io ci torno, e non solo in vacanza. Io appartengo all’Africa e, oggi, sono fermamente convinta che, se tra due anni ancora scriverò, lo farò da lì. Dal Sudafrica. Con buona pace dei sudafricani che saranno costretti a sopportarmi. Quindi, non sono sicura che continuerò con questa avventura del blog ma sono sicura che vivrò là. Come ero sicura che sarei tornata nel lodge che mi ha ospitato. E ci tornerò tra 93 giorni (ma chi li conta…).
Partiamo da qui. Devo premettere che ho un obiettivo nella vita: visitare più Paesi possibili. Possibilmente tutti (lo so, ma io penso SEMPRE in grande).
Per visitare tutti i Paesi del mondo, ho dovuto mettere un paletto importante: mai due volte nello stesso posto. Altrimenti non ce la farò mai.
Ecco. Come con la dieta. No carboidrati. Poi passi davanti alla pasticceria e… ciao.
Scendendo dalla casa sull’albero, nella mia mente si è insinuato un chiodo. DEVO tornare.
Non ero ancora ripartita che già avevo prenotato lo stresso lodge. Il carboidrato. Mannaggia. Ciao dieta. Ciao paletto importante.
Ma è stato un pensiero talmente improvviso e forte che ho dovuto seguirlo, senza poter prendere fiato. Chiaramente, dopo ci ho costruito sopra tutta una serie di scuse tipo: “voglio vedere il Sudafrica nella sua estate, ci saranno cuccioli nuovi…” Bullshit. Ci torno perché non posso farne a meno.
Questa sensazione impatta anche sulla descrizione di quello che ho visto e vissuto, perché tutto mi è sembrato naturale, come un ritorno a casa.
Ma torniamo alla casa sull’albero. Sì, ecco. Una casa sull’albero, affacciata su una pozza d’acqua.
Isolata da tutto e da tutti. Come sono arrivata da Via Turati a Milano su una casa sull’albero nel niente in Sudafrica?
Facile: dopo aver ricevuto la mia conferma per il Lesotho, ho deciso di pianificare qualche giorno in più in Sudafrica.
Temendo le grandi città e consapevole che a sud (Capetown) era inverno e, di conseguenza, non sarebbe stato il momento migliore per visitarla (ecco un’ulteriore scusa che accampo per giustificare il mio Sudafrica bis), ho cercato alternative.
“Safari”: sembrava la scelta più sensata.
Non appena dico che ho fatto un safari in Sudafrica, tutti immediatamente esclamano: Kruger! No, non al Kruger, non esattamente al Kruger e per una ragione molto semplice. Chiunque si informi, sa che il Kruger è un parco nazionale con accesso quotidiano. Il problema è che vi accedono centinaia di persone al giorno ed il rischio è quello di vedere più macchine che animali. Quindi, sarebbe stata un’esperienza a metà.
Ho quindi letto e trovato una soluzione migliore. Timbavati (che non so pronunciare in modo corretto, quindi ho copiato ed incollato).
“La Riserva di Timbavati è adiacente al Parco nazionale Kruger, in Sudafrica”, dice Wikipedia.
Booking mi ha aiutato e mi ha fatto prenotare all’Umlani Bushcamp (https://www.umlani.com/).
Non sono qui a fare pubblicità alle strutture, anche perché non mi pagano, non mi legge nessuno, quindi non ne ho motivo.
Però, benché abbia fatto una scelta d’impulso e poi non abbia approfondito di una virgola, devo ammettere di aver trovato un posto pazzesco.
Trattandosi di un lodge che ha pochissime stanze, ci metti un attimo a conoscere tutti gli ospiti (e fare amicizie che spero dureranno nel tempo) e, tramite loro (perché io non leggo MAI le info fino in fondo, sul sito c’è scritto - https://www.umlani.com/pages/facilities/-), ho scoperto questa opzione della casa sull’albero.
La puoi prenotare per qualche ora durante il giorno o per una notte intera. Ho fatto entrambe le cose. Perché?
Perché è l’esperienza più estrema che si possa fare. Il safari è “cacciare” gli animali. Giri con la macchina e li vai a cercare.
Quando sei sull’albero, tu stai fermo e sono gli animali che si avvicinano a te. In realtà non a te – che nel loro immaginario sei al massimo un boccone pieno di conservanti – ma all’acqua. E tu sei lì, sopra la pozza, col fiato sospeso che ammiri la meraviglia. Sei la classica mosca nella stanza. La natura ti circonda e ti ignora, facendo il suo corso.
L’esperienza di trascorrere una notte là sopra è indescrivibile. Non partivo dalle migliori premesse. Chi ci era stato prima di me non aveva visto nulla durante la notte. Quindi già mi stavo dando della deficiente. In più, cacchio, è disarmante la sensazione che si prova quando la jeep ti lascia lì. Sì, perché ti lasciano lì e se ne vanno. Tu rimani al buio, con una torcia ed una radio per le emergenze (che si raccomandano più e più volte di tenere spenta ed usare solo in caso di vera emergenza, per non consumare la batteria).
Io sono abituata a viaggiare da sola, muovermi da sola. Tendenzialmente sono attenta ma mai impaurita.
Devo ammettere che i primi 20 minuti lì sono stati un po’ terrificanti. Il silenzio. Le stelle.
Poi i sensi, in qualche modo, si risvegliano ed il silenzio non è più silenzio. Senti, senti tante cose. Avverti le presenze.
Dopo poco, infatti, ho sentito uno strano silenzio. Ho acceso la torcia per controllare e… Non ci credevo. In realtà ci ho messo un po’ per realizzare e non sono stata convinta fino al giorno dopo. Ma era lui. Un leopardo. Dall’altra parte della pozza rispetto a me. Beveva.
Eravamo io, la pozza ed il leopardo. Chi ci avrebbe mai creduto? Mi muovo per prendere la macchina fotografica. Mi fermo. Chi se ne frega se non ci crede nessuno. Io lo sto vedendo. È qui, di fronte a me.
Da quel momento in poi tutto quello che in una normale giornata può sembrare strano, è diventato normale.
Prima sei elefanti, a coppie di due, mamma con cucciolo, poi venti, poi… Cacchio erano troppi. A quel punto non potevo nemmeno più tenere la torcia accesa (al quarto barrito infastidito ho capito che non amavano tanto tanto il faro in faccia). Abituati gli occhi al buio, mi sono goduta gli elefanti che si facevano il bagno, si rotolavano nel fango sotto la casa sull’albero e bevevano allegramente (erano allegri, perché -vi giuro- facevano un casino della madonna).
Come sempre e come con tutte le cose, dopo un po’ mi sono annoiata e, soprattutto, mi è preso un sonno pazzesco (devo essere per 1/16 ghiro, perché altrimenti non si spiega). Mi sono infilata a letto e, nel mezzo al tutto, mi sono addormentata. Per essere svegliata da muggiti. E che cacchio.
Mi sono alzata urlando: “che è sto casino?”. Lo so, ma, sinceramente il sonno aveva cancellato la consapevolezza di dove fossi e me ne sono ricordata nel momento in cui, cercando di alzarmi dal letto, sono miseramente inciampata nella zanzariera.
Ho preso la torcia ed ho controllato. Bufali. Elefanti. A centinaia. C’era un rave (erano le tre del mattino). Un casino della madonna tra muggiti (sì i bufali fanno come le mucche) e barriti.
Spettacolo indescrivibile perché è talmente immersivo e straordinario che non esistono parole giuste che diano un senso a quello che si prova.
Come si fa a descrivere la visione di centinaia (e non sto scherzando) di animali giganti che si muovono lentamente e pacificamente? Potrei utilizzare tutti gli aggettivi della pubblicità della Treccani, ed ancora non avrei reso l’idea. E’ un porca paletta elevato alla millesima potenza.
Dopo un po’, come sempre, la magia si trasforma in: “ok, ma mo’ basta”.
Naturalmente, ho avuto anche l’ardire di urlare: “raga, io vado a dormire”, tanto per sentirmi rispondere un “muuuuu” prolungato…
Ho dormito (sangue ghiro non mente) un altro paio d’ore, poi, benché nessun rumore in particolare potesse disturbarmi, mi sono svegliata di nuovo. In tempo per vedere albeggiare.
E c’è un’altra esperienza che va vissuta. Se ti svegli poco prima del sorgere del sole, ti svegli ancora con il silenzio, in tempo per godere di quell’attimo tra lo scaldarsi del cielo ed il risvegliarsi degli uccelli.
È un momento magico, l’atmosfera è ovattata, piano piano i cinguettii si fanno via via più insistenti, fino al momento in cui urli: “si vabbè ho capito, ma avreste anche rotto il c…o” (capite vero perché non mi trovo un fidanzato? Biancaneve, avrebbe fatto così? Avrebbe cantato con loro…).
Era l’alba. La notte se n’era andata e la macchina stava arrivando a prendermi. Ma ero già presa. E non dal ricordo. Ero presa, per sempre.
English Version
South Africa – The Tree House
“All I wanted to do was get back to Africa. We had not left it, yet, but when I would wake in the night I would lie, listening, homesick for it already.”
Hemingway describes very well Africa sickness.
I do not suffer from Africa sickness. I am not nostalgic about Africa. I don’t miss it as it is part of me. And I understood it immediately. As soon as the mind-numbing thoughts stopped running around my head and I breathed. For the first time.
It’s difficult to find the words to describe the feelings.
Who suffers from Africa sickness speaks about the red soil, sunsets, animals, children.
I do not suffer from Africa sickness as what I felt and what I am feeling even now when I think back cannot be described thru those words.
The words I’d rather use are belonging, happiness, ease, fulfillment, home.
I do not suffer from Africa sickness as I am not nostalgic. I will be back, and not only for holiday. I do belong to Africa and, today, I am sure that, in two-year time, I might no longer write a blog, but if I will, I will write from there. From South Africa. And South Africans will have to cope with that, with me living there.
So, whilst I am unsure about the fact that I will go on writing, I am sure that I am going to live there. I am sure as much as I was sure I would have gone back to the lodge that hosted me. And I’ll be back in 93 days (but… who’s counting?)
Let’s start from here.
I have to premise that I have a goal in life: visit as many Countries as possible.
Possible all Countries (I know… but I tend to always THINK BIG).
In order to have the time to visit all Countries in the world I needed to set a boundary: never two times in the same Country. Otherwise I’ll never manage.
Yep. Sure, it’s the same thing with dieting: no carbs. Then, you walk by a bakery and…
Getting down from the Tree House, a fixed thought creeped in. I HAVE TO COME BACK.
I hadn’t left yet, and I had already booked again. The same lodge. the carbs… bye diet, bye boundaries…
But the thought came so suddenly and so strongly that I had to obey, without even try to reason about it.
Obviously, after having booked again, I found a lot of excuses like “I want to see South Africa during its summer, there will be new cubs, etc.” Bullshit. I will go back because I can’t help not doing it.
This feeling has a huge impact on the description of what I saw and experiences as all seemed natural to me, like being home.
Let’s go back to the Tree House. Yes. A Tree House, on a stretch of water. Isolated from everything and everyone. How did I manage to arrive from Via Turati in Milan to a Tree House in the middle of nowhere in South Africa?
Easy said: after having received the confirmation for Lesotho, I decided to prolong my trip and stay some days in South Africa.
Being a little afraid of Johannesburg and knowing that southern (Cape town) the weather wasn’t good (here you go with another reason for my South Africa bis trip), I looked for alternatives.
“Safari”: seemed the most reasonable choice.
As soon as I mention the fact that I did a Safari in South Africa, immediately I get the exclamation: “Kruger!”.
No, not exactly the Kruger and for a simple reason. If you check, you find out that the national park of the Kruger is quite visited, so the risk is to see more people and cars rather than animals.
This means that you have just a half-satisfying experience.
I found a better solution: Timbavati (name that I am unable to spell correctly so, I just copied and pasted it).
“The Timbavati Reserve is adjacent to the Kruger National Park in South Africa”, says Wikipedia.
Booking helped me further and I booked at Umlani Bush camp (https://www.umlani.com/).
I’m not here to advertise the lodges, mainly because they don’t pay me, so, the only reason I am mentioning it is because Umlani made the played a big role in this story.
So, notwithstanding the fact that I made a random search on Booking and I didn’t enter the merit at all once booked, I have to admit that I found an amazing location.
Being a lodge with 9 huts, it takes you a second to meet all the guests (and make friendships that hopefully will last long). Thus, the guests (thru them because I NEVER read all the info, but you find it on the website - https://www.umlani.com/pages/facilities/-) I found out that there was the “Tree House” option.
You can book it for a couple of hours during the day or for an entire night. I did both. Why?
Because it’s the most extreme experience you can have. Safari implies the “hunt” of the animals, in this sense, you drive to see them and shot photos. You look for them.
When you are on the tree, you stand still and it’s the animals getting close to you. Actually, they don’t get close to you – in their mind you are nothing more than a snack full of preservatives – they look for water. And you are there, on a stretch of water, without breathing, admiring the wonder. You are the fly in the room. Nature is surrounding you and – at the same time – it’s ignoring you, by taking its course.
Spend a night there it’s indescribable.
The preconditions weren’t favorable. Who had been there before me didn’t see anything. So, I was already blaming myself.
Also, the feeling you have when the jeep leaves you there is actually disarming. Yes, they leave you there and just go. You remain on your own, in the dark (on there’s a light, but I turned it off), with a torch and a radio for the emergencies (and they tell you many times that the radio has to be turned off and to use it only in case of real emergencies, in order to avoid consuming the batteries).
I am used to travel on my own, I can move around quite easily and rarely I get scared. I am careful, but not scared.
I have to admit that for the first 20 minutes there I was really scared. It was terrifying. The silence, the stars.
After a bit, somehow, your senses wake up and the silence is no longer silence. You hear, feel a lot of things.
You feel something around you.
Once calm and acclimated, I hear a weird silence. I turned on the torch to check and. I couldn’t believe it. Actually, it took me a while to realize, I had to re-think until the next day. But it was him. A leopard. At the other end of body of water. Drinking.
We were there: the leopard, the water and me.
Who could ever believe me? So, I started to move to grab the camera, but I stopped. Who cares if nobody believes me? I see him. He’s here, in front of me.
From that moment, anything that – on a normal day – seems weird, became normal.
Firstly, six elephants, in couples of mum and baby, then twenty elephants, then… f** too many.
At that point I couldn’t even turn on the torch (at the fourth annoyed trumpeting, I understood that the elephants didn’t like sooo much the light in their eyes…). Once my eyes got used to the dark, I just enjoyed the elephants bathing, rolling in the mud underneath the tree house and happily drinking (I say “happily” because they were happily noisy).
As per usual, I enjoyed for a while, but I got bothered after a while. Also, I was really really tired (I guess I am 1/16 dormouse, otherwise it’s inexplicable).
I fell asleep very easily in all that mess. But it didn’t last long. Mooing. Mooing woke me up.
I stood up screaming: “what the hell is all this mess?”. I know, honestly thru the sleep I forgot where I was, and I went back to reality only stumbling in the mosquito net.
I took the torch and check out. Buffalos. Elephants. Hundreds of them. It was a rave (it was three o’clock in the morning). A chaos. A chaotic chaos among mooing and trumpeting.
There are no words to describe the scene. The situation was so immersive and extraordinary that there are no words that render the idea of what you feel when you experience something like that.
How can you tell with words the vision of thousands (and I am not joking) of big animals that are slowly and peacefully moving? I could use all the adjectives of the Cambridge Advance Leaner’s Dictionary, still I would have given the slightly idea of the feeling. It’s a sort of WTF elevated thousand times.
As usual, after a while the magic turns into a “ok, it’s enough”.
Obviously, I also dared to scream “guys, I’m now trying to sleep” to get a reply like “muoooo”…
I managed to sleep (I said it, there’s something wrong in my blood) another couple of hours. Then, without any particular noise, I woke up again. In time to see dawning.
And this is another experience. If you wake up just shortly before the dawn, you wake up in the silence, in time to enjoy the moment between the warming up of the sky and the awakening of the birds.
It’s a magic moment, everything is muffled, slowly the twitter of the birds becomes louder, up to the moment you shout: “Ok, guys, I got it, but now it’s enough, for God’s sake!” (now you understand the level of romance I can reach… near to zero).
It was dawn. The night had fallen away and the car was coming to pick me up. But I was already taken. And not from the memories of the night. I was taken by all that, forever.
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