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@beatraveller20

Lesotho – il mio primo viaggio “diverso” – Il Viaggio

*** for the English version scroll down ***

Arriviamo alla parte dell’azione, il viaggio ed il lavoro.

Devo essere onesta, rispetto ai viaggi che programmo da sola, a questo giro non ero particolarmente in ansia. Di solito controllo e ricontrollo, faccio i check…

In questo caso, invece, ho fatto davvero poco dopo aver ricevuto l’ok alla partecipazione.

Dato che mi trovavo già in loco, ho semplicemente programmato di estendere di qualche giorno la mia permanenza in Sudafrica ed ho selezionato un lodge (che poi si è rivelato fichissimo, ma ne parlerò in un’altra occasione) e i voli.

Sono quindi partita di inerzia, non carica come al solito. Certo mi arrivavano solerti mail di aggiornamento dal team leader, ma non sentivo l’ansia da viaggio crescere.

Ho preso il mio aereo e sono arrivata. L’incontro era programmato a Johannesburg, prima notte lì col gruppo poi partenza per il Lesotho il giorno dopo.

Da italiana, ho dovuto forzarmi a fare il giro di conoscenze all’anglosassone. Noi italiani siamo strani. Non ci devi obbligare a presentarci, siamo perfettamente capaci di monopolizzare una conversazione per ore. Vabbè…

Da Johannesburg a Teyateyaneng, il posto nel distretto di Berea, in Lesotho abbiamo affrontato 6 comode ore di viaggio. Vi descriverei volentieri il paesaggio se non avessi, come al mio solito, dormito come un ghiro – ci vuole pazienza.

Insomma, magicamente siamo arrivati. E la mattina dopo abbiamo iniziato a fare quello per cui tutti eravamo lì.

Aspettativa versus realtà: onestamente pensavo che avremmo fatto ben poco, che saremmo stati di contorno. Non proprio. Abbiamo lavorato sul serio. Duramente.

Facevamo la malta “a mano” (ho riconsiderato la mia posizione sulle betoniere e sto prendendo in seria considerazione di acquistarne una “da viaggio”, è utile, fidatevi), costruivamo i muri, tiravamo su i mattoni. Il tutto sotto l’attenta supervisione del capo cantiere e di due divertiti manovali che, ogni tanto, colti da un improvviso afflato di tenerezza nei nostri confronti, ci davano una mano.

Era un lavoro durissimo, ma mi ha dato un’enorme soddisfazione.

Arrivare il primo giorno e vedere solo una mezza fila di mattoni ed andare via guardando una casa completa, con tanto di tetto, finestre e porte ti dà una carica incredibile.

Onestamente, benché continuassero a ripeterci per chi fosse la casa, a me importava poco. Sentivo che, per la prima volta in vita mia, stavo tirando su fisicamente qualcosa di concreto, di tangibile.

Può sembrare affermazione un po’ troppo auto-riferita, ma queste sono le vere sensazioni che ho provato. Non so cosa provino gli altri, a me non veniva naturale pensare che lo facevo per uno scopo più “alto”, che aiutavo un bambino in difficoltà. Stavo tirando su un muro.

Sì, la casa era destinata ad un orfano. Ma non gli stavo donando un bel niente. Gli stavo solo restituendo un po’ della gioia che i fatti della vita gli avevano strappato via troppo in fretta.

Infatti, non sono rimasta delusa quando lui non ha sorriso, non ha mostrato gratitudine. Ha 9 anni, è incazzato con il mondo, in più è in imbarazzo perché al centro dell’attenzione e magari gli amici lo prendono anche in giro.

Anch’io non avrei avuto gli occhi “pieni di gratitudine”, fossi stata in lui.

Ed è anche questo che si deve imparare quando si va a fare una cosa del genere. Non per forza sono dei poveri neri il cui cuore scoppia di gratitudine quando il ricco bianco (che in precedenza ha tolto alla sua terra tutto) dona loro qualcosa.

Sono delle persone che hanno un sacco di problemi “comuni”, sono incazzati, imbarazzati, timidi o non gliene importa nulla.

È giusto che sia così. Al ragazzo, a 9 anni, cosa vuoi possa importare di avere una casa? Immagino preferirebbe mille volte avere la mamma o un pallone.

Spesso siamo noi che imponiamo a chi è più svantaggiato i desideri.

In questo caso, ci sta, per carità. Gli abbiamo costruito una casa, così avrà un tetto sulla testa ed un posto asciutto in cui stare. Ma non per questo deve correrci incontro a braccia aperte piangendo come un vitello.

E lo rispetto per questo. Il suo atteggiamento mi ha insegnato molto.

È bello donare. Ma se lo si considera come dare ad uno sconosciuto qualcosa che abbiamo - a nostra volta - ricevuto per caso o per volontà altrui. E darlo senza aspettarsi niente in cambio, perché il nostro è un atto dovuto, quindi non c’è “corrispettivo”, neanche un grazie. Non serve.


English version

Lesotho – my first “different” trip – the journey

Finally, the part where I write about “the action”: the trip, the task.

I have to be honest: usually, when I plan the trips on my own, I feel much more tension. Usually I check and double check, make sure that everything is properly scheduled, planned, confirmed…

This time, instead, I did very little from the moment I received the ok to join the Lesotho group.

I just limited myself to plan an extension of stay in South Africa, being already there, I selected a lodge (that in the end was a super amazing experience – but I might talk about it further on) and booed the flights.

To a certain extent I was quite “passive” and not super tense as usual. I received a lot of updates via email from our Team Leader, but notwithstanding the departure date approaching, I didn’t feel the excitement for the trip growing.

I took my flight and I landed in Johannesburg, where I met the group. The plan was to overnight there and leave for Lesotho the next morning.

Being Italian I had to force myself into the “meet and greet” in the Anglo-Saxon way. Italians are weird. We do not need any game or socialization method. We are perfectly capable to monopolizing a conversation for hours without any need to be invited to… Still, I followed the instructions and I have to admit it was a nice experience.

It took us 6 hours from Johannesburg to Teyateyaneng, in the Berea District, in Lesotho.

I’d describe in detail the landscape we saw, if I only hadn’t slept like a log for the entire trip… anyway...

We arrived and the next morning we started doing the job we were there for.

Expectation versus reality. Honestly, I thought we would have done – physically – very little, that we would just have helped out from time to time.

Not exactly… Actually, we worked. Seriously. We worked a lot. 8/9 hours a day.

We made the mortar “by hand” (I have reconsidered my position on the cement mixer and I am seriously taking in consideration to buy a travel size cement mixer – it can be very helpful, trust me), we built the walls, raising them brick by brick. All this under the attentive supervision of the foreman and of two amused construction workers that, from time to time, caught by tenderness, helped us (and they did in one minute what we managed to do in two hours… just saying).

It was a hard work, but it was really satisfying.

To arrive the first day and see just a couple of bricks and to leave looking at a complete house, with roof, windows and doors gives you such a feeling that it’s difficult to describe thru words.

Honestly, notwithstanding the fact that they kept on telling us that for whom the house was, I didn’t care so much.

Don’t get me wrong: the strongest feeling was that I was building, raising something concrete, for the first time in my life.

It might sound too much self-reported but is what I felt.

I do not know what the others were feeling, but I didn’t think I was doing all that for a “higher” scope, that I was helping a child in state of need. I was raising a wall.

Yes, it’s true, the house was for an orphan. But I wasn’t donating anything. I was only giving him back some joy, the joy that life took away from him too early.

And actually, I wasn’t disappointed at all when he showed up and wasn’t showing “gratitude”, It’s 9, he’s fucking mad at the world and, in addition to this, he’s sheepish as everybody is looking at him and maybe his friends are making fun of him.

I wouldn’t have had the eyes full of gratitude, if I was him…

And this is another lesson to learn when doing something like I did. Forget the scene of the poor African deeply grateful to the rich white (who, by the way, had no problem in taking away everything in the past) donating something.

You have to learn that you cope with normal people that have normal problems, they might be angry, sheepish or they couldn’t care less.

And it’s normal. Why should a 9 years old guy care about a house? He’d rather prefer having a mum or a ball.

Sometimes is us imposing to the others what to desire.

In our case, we did the right thing. That guy needed a home, a safe, dry and warm place to stay. But this doesn’t necessarily mean that he has to meet us with open arms, crying full of gratitude.

And I respect him for this. His behavior taught a lot to me.

Donating is amazing. But only if we mean with that giving something to a stranger, something we have, or we have received in turn.

And donating means give without any expectation to obtain something in return, not even a “thank you”. It’s not needed.

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